Preghiera nella infanzia e gioventù della Beata Maria Domenica

Dai primi anni dell’infanzia Maria Domenica si impegnò con fervore non ordinario nell’esercizio dell’orazione e delle virtù. Portata alla preghiera, specie alla devozione alla Madonna, trascu­rava i giochi e i trastulli infantili per non mancare alle orazioni; a volte, tralasciava perfino di parteci­pare alla mensa familiare.

Una mattina, entrata in chiesa mentre il sacerdote pronunciava le parole della con­sacrazione, durante la celebrazione della messa, vide « grondare il prezioso Sangue rigurgitante dal calice che il sacerdote innalzava alla vista del popolo ». Cu­stodì nel cuore il segreto palesandolo sollo al confes­sore. Da quel momento s’impegnò maggiormente nella pratica della preghiera e nell’esercizio delle virtù; ri­nunciò a ogni ornamento, recise i capelli.

La preghiera ai piedi del crocifisso: «voi solo, crocifisso mio bene, sarete da qui innanzi il dolcissi­mo sposo dell’anima mia… il mio unico e solo amore», divise in due la sua vita e fu il momento determinante di una metanoia definitiva. Tuttora giovine e attraen­te emise, allora, il «voto » di castità perfetta, per tutta la vita; si diede alla pratica dell’orazione; si dedicò, notte e giorno, all’assistenza delle inferme abbandona­te nelle case

Nata da genitori cristiani, in una famiglia dov’era in vigore la pratica della preghiera e dei sacramenti, dai primissimi anni la presenza di Dio entrò nella mente e nei sentimenti di Maria Domenica in una forma e assiduità certamente superiore all’età; e tale rimase lungo tutto l’arco della vita in un incessante ritmo d’accrescimento d’intensità e di partecipazio­ne, innalzandone lo spirito ai gradi di una vera unio­ne dell’anima con Dio; unione mediata dalla costante pratica della preghiera e della rinuncia a quant’altro avesse potuto pregiudicarne lo’ status d’amicizia. Ze­lante di piacere al Signore, Maria Domenica studiò di uniformarsi, alla Sua volontà, ordinando sé stessa e tutte le creature partecipi della sua esistenzialità alla «maggior gloria» di Dio.

Più si vedeva priva d’umani appoggi e «più con­fidava nel Signore» del quale cercava la gloria, con

retta intenzione; «nullus speravit in Domino et est confusus», era il detto privilegiato e ripetuto che maggiormente la consolava. Quando nascevano burra­sche radunava le figlie attorno a sé e recitava «una bellissima preghiera che sapeva a memoria», poi si alzava tutta gaia e allegra, rassicurandole con la pa­rola «confidate». Ciò non soltanto per le preoccupa­zioni procurate dall’esterno, ma anche per le «pene di spirito».

In seguito alla negativa della duchessa Maria Lui­sa circa la sistemazione delle Oblate di S. Francesco di Sales nelle case Raffaelli e dell’Appalto, Maria Dome­nica sospese «il tutto attendendo che Iddio manife­stasse la sua volontà». L’attendeva «un passo da gi­gante». Maria Domenica chiedeva con fede grande e speranza maggiore quando, nell’aspettativa dell’esito dell’asta di vendita del palazzo, chiusa in una stanza, in preghiera, fissati gli occhi su un’immagine dell’Ad­dolorata, Maria Domenica irruppe improvvisamente in lacrime «di tenera riconoscenza nella persuasione che mediante la sua valida intercessione avrei ottenu­to quel palazzo a. prezzo discreto. Non passarono due ore e vennero ad. annunziarmi che il palazzo era mio per scudi 4700

Carità verso D’io.

La vita della Serva di Dio fu un atto continuo, di amore a Dio Padre, ma dal periodo post matrimoniale la presenza amorosa di Gesù in Maria Domenica prese il sopravvento su tutto, espresso nella preghiera: «Ah mio Dio… Dio del mio cuore, io vi ringrazio… perché mi avete resa libera… affinché mi stringa a voi coi legami di un costante indiviso amore». Per tutta la vita rimase fedele a questa fondamentale donazione mediante la ricerca instancabile e l’effettivo raggiun­gimento del possesso dello «sposo».

SPIRITO DI PREGHIERA.

Si può affermare che nella vita della Serva di Dio la preghiera ininterrotta fu una delle note tipiche di lei. Da piccina, da giovane, da sposa, da vedova, e, in modo più intenso, durante le difficoltà incontrate nel­la fondazione sia del monastero delle salesiane sia del­le Sorelle Oblate Infermiere, la preghiera divenne l’im­pegno principale di lei; emanazione incontenibile del suo spirito di fede e di abbandono in Dio. Il più e il meglio della sua preghiera è rimasto sicuramente chiuso nel segreto del cuore, ma in alcune circostanze particolari, specie in attività comunitarie da iniziare o condurre a termine, si è constatato in lei un accre­scimento di fervore accompagnato da, intensità di preghiera, per testimonianza comune.

Soprattutto nei momenti difficili e d’avversità, la preghiera diventava spontaneamente àncora di sal­vezza e àncora di sicurezza cui Maria Domenica si attaccava per non soccombere; «che giova piangere? bisogna pregare il Signore» diceva alle figlie sul letto di morte.

I momenti più intensi della via crucis di Maria Domenica esplodono in un crescendo, di preghiere, co­me nella grande prova della morte del marito e del figlio, nell’abbandono delle forze e conseguente peri­colosa spossatezza seguita al lavoro immane per la fondazione del monastero della Visitazione, nella bat­taglia scatenata pubblicamente contro di lei, colpita nell’onore, quando trovò la forza non solo di accettare la prova, ma, anzi, di ringraziare il Signore con la recita del Te Deum e di volgere il dolore in allegrezza e le potenze dell’anima « trasformate in Dio ».

Nella preghiera accorata e fervorosa trovò la for­za di scegliere tra il rimanere per sempre nel mona­stero della Visitazione o intraprendere la fondazione dell’istituto delle Sorelle Infermiere. Nella preghiera Dio le dette la risposta «voglio che tu mi serva nella persona delle povere inferme».

Il colloquio con Dio assume momenti di pro­fondo pathos nel momento, in cui le si scatenò la «più fiera tentazione» della vita, immediatamente dopo la fondazione del primo gruppo delle Sorelle Infermiere il 2 febbraio 1829. Maria Domenica si vide sola, abban­donata a se stessa, priva: di forze e d’ispirazione. Ai piedi del tabernacolo, effuse allora tutta la sua anima con le parole «Signore, voi bene conoscete la mia in­sufficienza, ma se vi piace servirvi di me per la vostra maggior gloria, datemi la capacità e il buon. volere e con l’aiuto vostro riuscirò, e con la fede di s. Agostino ripeterò: Dammi Signore ciò che ti chiedo e chiedimi ciò che vuoi».

«Sempre in orazione» con le figlie la Serva di Dio confidava, alla nipote Rosalia l’11 novembre 1840, una elevazione spirituale motivata dalla citazione pao­lina: «dove più ha abbondato la colpa, più abbonda la misericordia di Dio “.

Faceva dipendere l’amore di Dio dall’esercizio del raccoglimento. A suor Cecilia Sartini scriveva «che l’anima tirata da Dio al puro amore conviene che sia raccolta in sé stessa quanto può». Sulla base della dottrina di s. Francesco di Sales istruiva suor Cecilia sugli stati progressivi della preghiera, fino alle soglie dell’orazione infusa, detta di quiete, suggerendo di non attaccarsi alle consolazioni spirituali ma di atten­dere che il cuore fosse «per intero dedicato e assorto in Dio».

Memorabile è la preghiera fatta «col maggior fer­vore» di cui Gesù la rendeva capace con oggetto «il vero bene» della famiglia delle sorelle infermiere e la risposta data dal Signore stesso: «parla forte alle tue figlie e dì a ciascuna di loro Attende tibi». Pene­trante e motivata è la preghiera-meditazione contenuta nella lettera ad «amica nel cuor di Gesù»; una medi­tazione su Dio, sul Cristo, sulla autenticità umano spirituale dell’amica nei rapporti con la grazia. Altra preghiera-meditazione prorompe da fervore profondo a testimonianza di uno stato permanente di preghiera nella vita della Serva di Dio; la descrizione è diretta «alle mie care sorelle e figlie» con l’esplicita inten­zione di formarle alla vita interiore invitandole a se­guire con fedeltà «i suggerimenti dello Spirito santo» che muove «a operare il bene e a confidare in Dio».

A Mammoli, negli ultimi tempi della vita, il fer­vore apparve ancor più evidente; la Serva di Dio, «par­lava spesso di Dio e fu notato in lei un fervore straor­dinario», scrive suor Eugenia Trinci.

Frutto e figlio del fervore che occupava l’anima di lei non poteva essere altro che il grande zelo che ebbe sempre e in tutto per la maggior gloria di Dio, motivo ripetuto in continuazione nell’Autobiografia e nelle lettere dirette alle figlie. Maria Domenica era san­tamente gelosa delle sue figlie e quando «le sembrava vedere rattiepidire il fervore nello sue religiose allora più che mai, con le esortazioni e ammonimenti pro­curava risvegliarle nel fervore e rianimare l’osser­vanza».

Il capitolo VI della II parte della Batacchi tratta ex professo dello «spirito di preghiera e raccoglimen­to interno» di Maria Domenica. Anzitutto la pronipo­te è meravigliata come la Serva di Dio, già da laica, immersa in tante attività e responsabilità esterne, po­teva conservarsi «nel solito suo interno raccoglimen­to»; sempre fu «donna di fede e di preghiera». Nella preghiera si mostrava assorta ed elevata «sopra tutto il mondo esterno» con «un raccoglimento e una pe­netrazione la più profonda». Dagli scritti, osserva la Batacchi, si deduce che «essa teneva continuamente il suo pensiero rivolto a Dio e come egli invitandola nella solitudine del cuore, interiormente le parlava, essa fedelmente ascoltando il diletto dell’anima sua poneva ogni studio nel porle [le parole del diletto] in pratica». La fedele biografa riporta significativa­mente la frase terminale ‘ di una preghiera della pro­zia: «datemi, innamorato mio Gesù, un vero spirito di umiltà, di dolcezza, di zelo per la vostra gloria, di rassegnazione nelle cose contrarie, amore al patire e tanta perseveranza». Altra espressione significativa «la mia dimora sarà sempre nel Sacro Cuore di Gesù».

L’impegno per l’orazione era una necessità per lei e tale doveva essere per l’istituto da lei fondato. Il Capitolo VI della i parte delle costituzioni ha per titolo: Dell’orazione e raccoglimento; posto il fonda­mento evangelico, infirmus fui et visitastis me Maria Domenica metteva l’orazione alla base del ministero di servizio alle inferme stabilendo l’ordine delle pre­ghiere in comune e delle visite private al Santissimo Sacramento come garanzia e custodia del fervore, es­sendo la «carità frutto della grazia da implorarsi per via della preghiera assidua, umile, confidente».

Gesù «crocifisso» era, per lei testimone e oggetto del suo amore. Dietro di lui essa intendeva portare la «croce», non una qualunque, ma quella «che è con­veniente per umiliare» la superbia. La meditazione sulla «passione di Gesù doveva divenire fonte di coraggio per le figlie nell’arduo cammino dell’abne­gazione di sé stesse.

La Batacchi cita questa preghiera della Serva di Dio, dove è riassunto il profondo rapporto esistenzia­le di Maria Domenica con Gesù Crocifisso: «Ah mio Gesù Crocifisso, quante belle lezioni mi date da quella vostra croce. Voi rimproverate la mia superbia, la mia vanità, il mio amor proprio con l’umiltà da voi dimostrata e insegnata in tutto il tempo della vita mor­tale […], riconosco l’amor proprio per il mio mag­gior nemico e causa di ogni mio errore per ciò lo abomino e da questo momento propongo ai piedi vo­stri di voler riporre tutto il mio amore in voi, di seguire voi nelle vostre sublimi virtù, per quanto mi sarà possibile e così aborrirò ogni altro amore che possa allontanarmi da voi, o solo dispiacere a voi ».

«Nel Cuore di Gesù [scriveva a un’amica] ri­siede il perfetto Amore che accoglie, accarezza e di mille doni ci arricchisce»; concludendo: «amiamo il buon Gesù a preferenza di tutto; questo è quell’amore che da noi esige».

Con Gesù, Maria Santissima, da lei invocata e in situazioni particolarissime, rifugio e sicurezza; come nel momento in cui aveva luogo la subasta per l’acqui­sto del palazzo Lucchesini in Lucca; era immersa nella preghiera « quando fissati gli occhi su di una imma­gine di Maria SS.ma Addolorata » sentì essere stata esaudita e, gettatasi ai piedi della Madonna irruppe in lacrime di « tenera riconoscenza nella persuasione che mediante la sua valida intercessione avrei – scrive nell’Autobiografia – ottenuto quel palazzo a prezzo discreto. Non passarono due ore e vennero ad annun­ziarmi che il palazzo era mio per scudi 4700 ».

Maria SS.ma era perciò la «speciale Avvocata e madre nostra amorosa», della famiglia religiosa fon­data dalla Serva di Dio, come scrive lei stessa.

Soprattutto, la presenza della Madonna, invocata fiduciosamente da_ Maria Domenica, nell’episodio del­la miracolosa guarigione di suor Maria Crocifissa, del­la Visitazione. Gettatasi ai piedi di Maria SS.ma e chiedendole la guarigione della suora, compiuta appe­na la preghiera, sentì dirsi «sia fatto quanto hai do­mandato», come appunto avvenne con meraviglia di tutti.

Il 31 dicembre 1826, giorno dell’inaugurazione del­la chiesa e monastero della Visitazione di Santa Ma­ria, in Lucca, mentre era in preghiera, afflitta dal dub­bio se continuare a convivere nel monastero o uscirne per dedicarsi all’assistenza delle inferme, Maria Do­menica udì «una voce chiara» come le «svelasse, rimproverandola: Tu in questa domanda cerchi te stes­sa, il tuo riposo, non il mio gusto. Voglio che tu mi serva nella persona delle povere inferme».

Per comune testimonianza Maria Domenica era assorta in continua preghiera e chiedeva aiuto spiri­tuale a chi l’assisteva. Tra le frasi più significative raccolte dalle sue labbra, in quei momenti è l’umile confessione: «Ho chiesto a Dio l’amore e il dolore; il dolore non mi manca, ma l’amore… ». Alle 24 del 22 maggio 1868, passava al Signore «rima­nendo col volto ilare, la bocca atteggiata al sor­riso, come sempre era stata in vita, anche né mo­menti suoi più gravi e disgustosi e nella stessa malat­tia».